Disinteressato ai vari "ismi" del Novecento, per la propria formazione da autodidatta preferì misurarsi con la lezione dei paesisti piemontesi del maturo Ottocento, prediligendo interpretazioni crepuscolari, malinconiche, effetti d'illuminazione serale e notturna realizzati con viva partecipazione emotiva nei paesaggi lacustri, fluviali e lagunari. Rifuggì insieme dagli effetti vistosi del colore, progressivamente evolvendo il linguaggio da un'iniziale pennellata larga e corposa alle fusioni tonali della piena maturità. Presente alle mostre torinesi dal 1925 al 1960, celebrato nel 1998 da una retrospettiva di 64 dipinti alla Galleria Fogliato di Torino è interprete "pascoliano" di situazioni e di paesaggi, talvolta allusivamente simbolici.
martedì 15 gennaio 2013
Tramonto
Disinteressato ai vari "ismi" del Novecento, per la propria formazione da autodidatta preferì misurarsi con la lezione dei paesisti piemontesi del maturo Ottocento, prediligendo interpretazioni crepuscolari, malinconiche, effetti d'illuminazione serale e notturna realizzati con viva partecipazione emotiva nei paesaggi lacustri, fluviali e lagunari. Rifuggì insieme dagli effetti vistosi del colore, progressivamente evolvendo il linguaggio da un'iniziale pennellata larga e corposa alle fusioni tonali della piena maturità. Presente alle mostre torinesi dal 1925 al 1960, celebrato nel 1998 da una retrospettiva di 64 dipinti alla Galleria Fogliato di Torino è interprete "pascoliano" di situazioni e di paesaggi, talvolta allusivamente simbolici.
martedì 22 marzo 2011
Album fotografico

Questa foto ritrae Mario in compagnia del cognato Carlo Musso (1907-1968) in una località non ben precisata della Val di Susa (probabilmente Venaus). Bibliografia: Thieme-Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, Leipzig 1992; A. M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori e incisori italiani moderni, Milano 1962
martedì 16 febbraio 2010
Il "Notturnino"
Mario Albano era soprannominato il "Notturnino" in ragione dei numerosi soggetti evocativi della notte, ma non solo: i quadri di Albano esprimono intime sensazioni legate all'imbrunire, a limpidi e antichi crepuscoli, ma osservando attentamente opere come quella che vi presentiamo in questo post, si finisce con l'esser colti da una specie di déja vu, come la consapevolezza di aver vissuto numerose vite in un altrove. Mario ha passeggiato lungo pendii collinosi e attraversato boschi pieni di sussurri, sicuro fino alla strada che annuncia le prime case. E meglio di chiunque altro ha saputo descrivere la vita parallela del mondo della sera, dove il tempo non esiste. Ha dipinto la pace di quei luoghi, simili alla nostra realtà in determinate circostanze, e la dolcezza della vita che vi alberga; e, secondo me, più di ogni altra cosa ha dato voce alle anime dei sensibili, che come lui vagabondano nella mezza luce della sera a difesa dei propri sogni.
Forse è questo il vero talento artistico, il saper individuare il punto di contatto fra il nostro e l'altro mondo, la porta del sogno; e pur vivendo il dolore del non accesso, restituire con fatica quel poco di meraviglioso che si è riusciti a cogliere attraverso il buco della serratura: istantanee di un mondo di pace. Immagini come in questo dipinto rimandano a cose a noi note, dove tutto è vecchio, ma non scolorito, perché sottendono ad una realtà inattingibile ai vivi, seppur simile alla nostra. E se l'arte di Mario Albano (1896-1968) rende avvertibile tutto ciò, non sarà difficile immaginarlo nell'ombra far compagnia alle due figure che bisbigliano sotto il lampione..
venerdì 30 ottobre 2009
MARIO ALBANO
Vita di paese (dopo il temporale) - 1928 (78 x 70)
Lo chiamavano il Notturnino e tale era per tavolozza e per carattere, avviluppato in un bozzolo di pensieri, riservato, schivo. Ricercatore solitario, più dei salotti preferiva frequentare i musei, dove i maestri del passato lo coinvolgevano in dialoghi costruttivi e muti. Fontanesi era il suo mito per vastità di cieli e sinfonia di silenzi. Ne studiava l'impianto compositivo, la pennellata virtuosa, i tocchi soffici sulle nubi, gli sfregazzi ruvidi sulle pietre, poiché si snodava in paesaggi di un secolo appena trascorso, la via che conduceva al suo rifugio più intimo, segreto, costruito idealmente sulla riva di laghi e di fiumi o lungo le "corde" della risaia vercellese, mare di provincia intrappolato in spesse reti di terra. In quei luoghi l'animo sembrava placarsi e la tristezza sciogliersi per far posto a una serenità impalpabile, preludio vago di una pace sognata.
Omegna (Lago d'Orta) - 1929 (35 x 27)
Ci piace immaginarlo così, mentre sceglie un angolo tranquillo davanti al lago d'Orta, sul greto della Stura, tra i campi sommersi del territorio di Livorno Ferraris, il suo paese d'elezione, la tela, il cavalletto, o un semplice taccuino su cui fissare emozioni "en plain air", i veri ritratti della propria solitudine. Ne fece moltissimi, in un lievitante crescendo di sensibilità e perizia, e tuttavia pudore e discrezione gli impedirono di mostrarli riuniti al grande pubblico. L'essere autodidatta, anziché renderlo orgoglioso dei risultati raggiunti, pareva ridestargli ogni volta paralizzanti timidezze. E poco valse la stima che gli dimostrarono, aprendogli i loro studi, artisti allora alla moda come Giovanni Guarlotti, Boffa, Tarlatta, Margotti, Micheletti, Venazio Zolla, che mai lo considerarono un dilettante: l'eccesso d'autocritica e il desiderio di perfezione deviarono sempre il suo cammino dalle vanità del mondo.
La cena dei pescatori - 1928 (74 x 62)
Nell'acqua soltanto, la grande madre che armoniosamente si adatta alle forme, vedeva stemperarsi disillusione e amarezza. Era la sua fuga da un presente urlante e accecante, il desiderio nostalgico della beatitudine nel ventre materno dove si è inconsciamente felici. Più delle onde del mare, dilatate e incontrollabili, si perdeva dunque nelle increspature dei laghi e degli stagni, e anche dei fiumi amava il fluire lento in letti ampi, non i vortici e mulinelli delle piene impazzite. Sempre avvertiva l'esigenza di raggiungere con lo sguardo l'altra sponda, d'intravedere, seppur sbiaditi dalla lontananza, filari di pioppi, piogge di salici, o sagome contorte di gelsi per circoscrivere il proprio universo, per non sentirsi sperduto.
Inverno nella risaia - 1946 (110 x 81)