martedì 15 gennaio 2013

Tramonto



 Tramonto sulla pianura di Rivara - olio su cartone - 34 x 48 cm

Opera del 1941 che testimonia la freschezza della poetica di Mario Albano, lontana e profonda. Una natura smemorata, dolce e riconciliante, che ci racconta di un mondo sereno, d'altri tempi, un mondo semplice e ingenuo in cui sarebbe bello nascere, vivere e morire. Recentemente sue opere sono state battute in diverse aste, fra cui la Rosebery's fine art and antiques auction house di Londra.

Francesco Albano

Disinteressato ai vari "ismi" del Novecento, per la propria formazione da autodidatta preferì misurarsi con la lezione dei paesisti piemontesi del maturo Ottocento, prediligendo interpretazioni crepuscolari, malinconiche, effetti d'illuminazione serale e notturna realizzati con viva partecipazione emotiva nei paesaggi lacustri, fluviali e lagunari. Rifuggì insieme dagli effetti vistosi del colore, progressivamente evolvendo il linguaggio da un'iniziale pennellata larga e corposa alle fusioni tonali della piena maturità. Presente alle mostre torinesi dal 1925 al 1960, celebrato nel 1998 da una retrospettiva di 64 dipinti alla Galleria Fogliato di Torino è interprete "pascoliano" di situazioni e di paesaggi, talvolta allusivamente simbolici.

Da: "Il valore dei dipinti dell'Ottocento e del primo Novecento" Giuseppe Marini, Allemandi  Editore



martedì 22 marzo 2011

Album fotografico

-Mario Albano in divisa militare 26/6/1921

Mario Albano nacque a Torino il 27 luglio 1896. Pittore autodidatta, si dedicò al paesaggio, alla pittura di genere, al ritratto ed alla figura, per la quale fu particolarmente dotato. Esordì nel 1925 agli Amici dell'Arte a Torino; nello stesso anno presentò alla Promotrice Torinese un ritratto della madre. Prese parte, in seguito, a diverse Mostre piemontesi e lombarde, ed alla "Mostra del Paesaggio" di Bologna. Si spense a Torino il 18 dicembre 1968.

Tra le sue opere: Funerali di S. Francesco; Crepuscolo della vita; Notte di Mistero; La cena dei Pescatori, L'Altipiano di Sáuze d'Oulx; Ritratto del padre; L'Incontro; Notte di mistero; Il Visionario.

Mario Albano nello studio di via Duchessa Jolanda a Torino

In questa rarissima immagine, risalente ai primi anni Trenta, il pittore Mario Albano è ritratto nel proprio studio. Alle sue spalle si scorgono alcune fondamentali opere dell'artista, come i Funerali di S. Francesco e Ritratto del padre. Nella foto Mario posa davanti ad una tela che ritrae un nudo di donna, soggetto peraltro poco ricorrente nella sua produzione di artista schivo e sensibile.
Mario in compagnia del pittore Carlo Musso

Questa foto ritrae Mario in compagnia del cognato Carlo Musso (1907-1968) in una località non ben precisata della Val di Susa (probabilmente Venaus). Bibliografia: Thieme-Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, Leipzig 1992; A. M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori e incisori italiani moderni, Milano 1962

martedì 16 febbraio 2010

Il "Notturnino"

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Sera - 1935 (15 x 17 cm)

Mario Albano era soprannominato il "Notturnino" in ragione dei numerosi soggetti evocativi della notte, ma non solo: i quadri di Albano esprimono intime sensazioni legate all'imbrunire, a limpidi e antichi crepuscoli, ma osservando attentamente opere come quella che vi presentiamo in questo post, si finisce con l'esser colti da una specie di déja vu, come la consapevolezza di aver vissuto numerose vite in un altrove. Mario ha passeggiato lungo pendii collinosi e attraversato boschi pieni di sussurri, sicuro fino alla strada che annuncia le prime case. E meglio di chiunque altro ha saputo descrivere la vita parallela del mondo della sera, dove il tempo non esiste. Ha dipinto la pace di quei luoghi, simili alla nostra realtà in determinate circostanze, e la dolcezza della vita che vi alberga; e, secondo me, più di ogni altra cosa ha dato voce alle anime dei sensibili, che come lui vagabondano nella mezza luce della sera a difesa dei propri sogni.

Forse è questo il vero talento artistico, il saper individuare il punto di contatto fra il nostro e l'altro mondo, la porta del sogno; e pur vivendo il dolore del non accesso, restituire con fatica quel poco di meraviglioso che si è riusciti a cogliere attraverso il buco della serratura: istantanee di un mondo di pace. Immagini come in questo dipinto rimandano a cose a noi note, dove tutto è vecchio, ma non scolorito, perché sottendono ad una realtà inattingibile ai vivi, seppur simile alla nostra. E se l'arte di Mario Albano (1896-1968) rende avvertibile tutto ciò, non sarà difficile immaginarlo nell'ombra far compagnia alle due figure che bisbigliano sotto il lampione..

Francesco Albano

venerdì 30 ottobre 2009

MARIO ALBANO


Lo stagno - 1950 (90 x 70)
Amava le ombre lunghe della sera, Mario Albano, e il denso inchiostro della notte che occulta tribolazioni e affanni. Lo attraevano i bagliori dei lampioni sui muri cupi della vecchia Torino, le luci fioche dalle finestre socchiuse, l'alone delle lanterne che guidavano i viandanti verso mete sconosciute. Trovare i colori del buio, rossastri di mattoni in città, violetti d'orizzonti in campagna, era scommessa che l'assorbiva e insieme proteggeva dal frastuono delle avanguardie che scompigliavano il mondo, le frenesie dei Futuristi, le provocazioni del Cubismo.

Vita di paese (dopo il temporale) - 1928 (78 x 70)

Lo chiamavano il Notturnino e tale era per tavolozza e per carattere, avviluppato in un bozzolo di pensieri, riservato, schivo. Ricercatore solitario, più dei salotti preferiva frequentare i musei, dove i maestri del passato lo coinvolgevano in dialoghi costruttivi e muti. Fontanesi era il suo mito per vastità di cieli e sinfonia di silenzi. Ne studiava l'impianto compositivo, la pennellata virtuosa, i tocchi soffici sulle nubi, gli sfregazzi ruvidi sulle pietre, poiché si snodava in paesaggi di un secolo appena trascorso, la via che conduceva al suo rifugio più intimo, segreto, costruito idealmente sulla riva di laghi e di fiumi o lungo le "corde" della risaia vercellese, mare di provincia intrappolato in spesse reti di terra. In quei luoghi l'animo sembrava placarsi e la tristezza sciogliersi per far posto a una serenità impalpabile, preludio vago di una pace sognata.

Omegna (Lago d'Orta) - 1929 (35 x 27)

Ci piace immaginarlo così, mentre sceglie un angolo tranquillo davanti al lago d'Orta, sul greto della Stura, tra i campi sommersi del territorio di Livorno Ferraris, il suo paese d'elezione, la tela, il cavalletto, o un semplice taccuino su cui fissare emozioni "en plain air", i veri ritratti della propria solitudine. Ne fece moltissimi, in un lievitante crescendo di sensibilità e perizia, e tuttavia pudore e discrezione gli impedirono di mostrarli riuniti al grande pubblico. L'essere autodidatta, anziché renderlo orgoglioso dei risultati raggiunti, pareva ridestargli ogni volta paralizzanti timidezze. E poco valse la stima che gli dimostrarono, aprendogli i loro studi, artisti allora alla moda come Giovanni Guarlotti, Boffa, Tarlatta, Margotti, Micheletti, Venazio Zolla, che mai lo considerarono un dilettante: l'eccesso d'autocritica e il desiderio di perfezione deviarono sempre il suo cammino dalle vanità del mondo.

La cena dei pescatori - 1928 (74 x 62)

Nell'acqua soltanto, la grande madre che armoniosamente si adatta alle forme, vedeva stemperarsi disillusione e amarezza. Era la sua fuga da un presente urlante e accecante, il desiderio nostalgico della beatitudine nel ventre materno dove si è inconsciamente felici. Più delle onde del mare, dilatate e incontrollabili, si perdeva dunque nelle increspature dei laghi e degli stagni, e anche dei fiumi amava il fluire lento in letti ampi, non i vortici e mulinelli delle piene impazzite. Sempre avvertiva l'esigenza di raggiungere con lo sguardo l'altra sponda, d'intravedere, seppur sbiaditi dalla lontananza, filari di pioppi, piogge di salici, o sagome contorte di gelsi per circoscrivere il proprio universo, per non sentirsi sperduto.

Inverno nella risaia - 1946 (110 x 81)

L'acqua era inoltre la sorgente e la foce del misticismo profondo che permeò la sua esistenza, l'immagine del Battesimo, che per immersione ricongiunge l'uomo al nulla e per emersione lo restituisce rinato e purificato. L'acqua era la morte e la vita, il legame terreno con l'eternità.
Venezia - 1932 (34 x 26)
Fu un'isola di silenzio, in fondo, tutta la sua esistenza. Se da giovane lo attirarono i riflessi dei muri policromi nei canali scuri della laguna veneta, in seguito divenne isolano nella casa di Torino, nello storico quartiere di Valdocco. Le costruzioni popolari di via del Fortino che gli offrivano dalla finestra dello studio il loro gioco di volumi e colori discreti, rappresentano così per lui l'incanto e il conforto di ogni tempo e stagione, rassicuranti e protettive sotto lenzuola di neve, umide di piogge autunnali o avvolte dalla luce mistica di antiche sere.



Maria Giulia Alemanno, 1998