Vita di paese (dopo il temporale) - 1928 (78 x 70)
Lo chiamavano il Notturnino e tale era per tavolozza e per carattere, avviluppato in un bozzolo di pensieri, riservato, schivo. Ricercatore solitario, più dei salotti preferiva frequentare i musei, dove i maestri del passato lo coinvolgevano in dialoghi costruttivi e muti. Fontanesi era il suo mito per vastità di cieli e sinfonia di silenzi. Ne studiava l'impianto compositivo, la pennellata virtuosa, i tocchi soffici sulle nubi, gli sfregazzi ruvidi sulle pietre, poiché si snodava in paesaggi di un secolo appena trascorso, la via che conduceva al suo rifugio più intimo, segreto, costruito idealmente sulla riva di laghi e di fiumi o lungo le "corde" della risaia vercellese, mare di provincia intrappolato in spesse reti di terra. In quei luoghi l'animo sembrava placarsi e la tristezza sciogliersi per far posto a una serenità impalpabile, preludio vago di una pace sognata.
Omegna (Lago d'Orta) - 1929 (35 x 27)
Ci piace immaginarlo così, mentre sceglie un angolo tranquillo davanti al lago d'Orta, sul greto della Stura, tra i campi sommersi del territorio di Livorno Ferraris, il suo paese d'elezione, la tela, il cavalletto, o un semplice taccuino su cui fissare emozioni "en plain air", i veri ritratti della propria solitudine. Ne fece moltissimi, in un lievitante crescendo di sensibilità e perizia, e tuttavia pudore e discrezione gli impedirono di mostrarli riuniti al grande pubblico. L'essere autodidatta, anziché renderlo orgoglioso dei risultati raggiunti, pareva ridestargli ogni volta paralizzanti timidezze. E poco valse la stima che gli dimostrarono, aprendogli i loro studi, artisti allora alla moda come Giovanni Guarlotti, Boffa, Tarlatta, Margotti, Micheletti, Venazio Zolla, che mai lo considerarono un dilettante: l'eccesso d'autocritica e il desiderio di perfezione deviarono sempre il suo cammino dalle vanità del mondo.
La cena dei pescatori - 1928 (74 x 62)
Nell'acqua soltanto, la grande madre che armoniosamente si adatta alle forme, vedeva stemperarsi disillusione e amarezza. Era la sua fuga da un presente urlante e accecante, il desiderio nostalgico della beatitudine nel ventre materno dove si è inconsciamente felici. Più delle onde del mare, dilatate e incontrollabili, si perdeva dunque nelle increspature dei laghi e degli stagni, e anche dei fiumi amava il fluire lento in letti ampi, non i vortici e mulinelli delle piene impazzite. Sempre avvertiva l'esigenza di raggiungere con lo sguardo l'altra sponda, d'intravedere, seppur sbiaditi dalla lontananza, filari di pioppi, piogge di salici, o sagome contorte di gelsi per circoscrivere il proprio universo, per non sentirsi sperduto.
Inverno nella risaia - 1946 (110 x 81)
1 commento:
non conoscevo il lavoro di Mario Albani, una scoperta, dipinti molto interessanti e poetici
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